Circolo
Bateson Seminario dicembre 2007
Lucilla
Ruffilli
(introduzione insieme a Rosalba Conserva)
Nel
1986 Giorgio Celli, attualmente parlamentare europeo e consigliere
comunale dei Verdi a Bologna,
scriveva nel libro Ecologi e scimmie
di Dio: “Il nostro, non ho dubbi, e neanche voi, io lo so, è il
tempo dell’inquinamento non solo della natura, ma delle menti. In
un’epoca in cui la mistificazione regna sovrana…bisogna adoprarsi non
solamente di tutelare l’atmosfera, o le acque, ma la libertà e la
trasparenza del giudizio.
Penso che il libro di Gregory Bateson, il cui titolo suona Verso una ecologia
della mente, costituisca, per tutti noi, una proposta di ampliare
all’interno l’orizzonte dell’ecologia. Ad ogni modo, praticare una
ecologia della mente, per me significa difendere sì il proprio equilibrio
interiore, sfuggire alla pazzia di massa, ma, e forse soprattutto,
non lasciarsi ingannare dai miraggi e dai paradossi che fabbricano
i persuasori occulti, o palesi, a nostro danno."
Siamo suggestionabili,
la nostra natura, è flessibile e viscosa, inoltre le nostre
convinzioni si autoconvalidano sia direttamente, per suggestione, sia
indirettamente perché ciò in cui
noi crediamo modella le nostre azioni in modo da favorire la realizzazione
di ciò che crediamo, speriamo o temiamo che accada.
L’unità di sopravvivenza, scrive
Bateson, è l’organismo
nell’ambiente. La relazione tra noi e l’ambiente precede, viene
prima, è costitutiva, ed è questa relazione che dobbiamo preservare. Non
possiamo controllare unilateralmente gli effetti delle nostre azioni sugli
altri e sul mondo.
Tre metafore visive a confronto
esemplificano il rapporto fra noi e il mondo: due parlano di sfruttamento
o di protezione; dall’una all’altra cambia il messaggio, ma l’uomo
non fa parte del contesto che sfrutta o protegge.
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Mani che tengono in
pugno il mondo
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Mani
che sostengono, accolgono,
proteggono
il mondo
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ma…quella mano che sorregge la terra è dentro quella terra che è
sorretta da quella mano…
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La
terza metafora attiene alla doppia domanda di Mc Culloch, che si
può così riscrivere:
“che
cos’è un uomo che manipola il mondo; che cos’è un mondo che
un uomo può manipolarlo?”
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La doppia
domanda ci costringe a riflettere non solo sulla natura dell’uomo e su
quella del mondo, ma sulla relazione tra i due, sulla rete di relazioni
che è propria del vivente.
La
terza metafora ci obbliga ad affrontare doppi vincoli.
Ad
esempio: gli elefanti sono in via di estinzione, salviamo gli elefanti,
facciamo un bel parco naturale… e condanniamo i nomadi che non possono
più attraversare il parco…
Le
grandi foreste tropicali non devono essere tagliate? Chi ne paga le
conseguenze? Il ministro per l’ambiente del governo di Jakarta ha
avanzato la seguente proposta: i paesi industrializzati paghino fino a
venti dollari per ettaro ai paesi che accettano di non tagliare le loro
foreste tropicali. Il paese che non taglia le foreste si vede così
rimborsare una fonte mancata di guadagno ottenibile con il commercio del
legname o eventuali piantagioni al posto dei boschi.
Una
soluzione quantitativa e di tipo economico che rimanda il problema
aggravandolo.
All’interno
del parco nazionale del monte Elgon in Uganda sono stati piantati nei
primi anni del 1990 25.000
alberi che dovrebbero, secondo la fondazione Face che ha firmato
l’accordo con il governo dell’Uganda, compensare le emissioni di gas
serra prodotte da una centrale elettrica costruita in Olanda. Bisognava,
quindi, confiscare ai contadini del monte Elgon le terre trasformate in
parco, dove cresceva il mais bisognava piantare gli alberi olandesi.
Sono
state scacciate circa 10.000 persone.
Per
Bateson la saggezza consisteva nel prendere atto del sistema più ampio
nel quale i cambiamenti esponenziali, nel momento in cui si compiono delle
scelte, possono originarsi.
Questo
vuol dire prendere atto di una imprevedibilità necessaria e della cecità
dovuta alla nostra epistemologia.
Senza
una consapevolezza dell’unione tra le cose, la scienza al massimo può
darci solo la natura-in-pezzi; più spesso ci da solo pezzi di natura.
Una
fiducia troppo angusta nella metodologia scientifica finisce
invariabilmente per metterci in difficoltà.
Pensando
alla acidificazione dei laghi dell’Adirondacs, nello stato di New York
una
biologa Barbara McClintock scriveva “Stiamo rovinando l’ambiente in
maniera spaventosa e pensavamo che tutto andasse bene, perché stavamo
usando le tecniche della scienza. Tutto si trasforma in tecnologia, finché
si rivolta contro di noi, che non abbiamo pensato abbastanza. Avevamo
azzardato delle presupposizioni che non avevamo il diritto di fare.
Eravamo carenti dal punto di vista del funzionamento dell’intero
sistema, conoscevamo solo come funzionava una parte… Non ci siamo
nemmeno preoccupati di indagare, non abbiamo neanche visto cosa succedeva
intorno. Stavano succedendo tante altre cose e noi non ce ne
accorgevamo.”.
Bateson
seppe conciliare, con grande capacità di sintesi, la ricerca scientifica
approfondita con lo sforzo di conoscere in modo globale e olistico noi
stessi e il mondo, fino a giungere a una ecologia
della mente che nel suo linguaggio significava unire la tradizione di
Eraclito e William Blake a Newton e Darwin.
Dobbiamo
ripensare in modo insolito parole come saggezza, sacro, mente, ecologia,
povertà, sostenibilità, tempo, spazio... e
ridefinirle ricorrendo agli strumenti concettuali che oggi abbiamo, tanto
coraggiosi nelle domande quanto umili e timorosi nell’accettare le
risposte.
Prendiamo
per esempio la parola povertà. Bisogna
aiutare i paesi poveri. Ma da dove viene la povertà? Forse che la
rivoluzione industriale ha dato a noi la ricchezza, lasciando indietro un
mondo di poveri?
Due
dei grandi miti economici del nostro tempo permettono alle persone di
negare lo stretto collegamento tra la povertà di alcuni popoli e la
ricchezza di altri e di diffondere interpretazioni scorrette di cosa sia
la povertà.
Scrive
Vandana Shiva nel 2005:
“In
primo luogo, per la distruzione della natura e della capacità delle
persone di aver cura di se stesse il biasimo non cade sulla crescita
industriale e sul colonialismo economico, ma sugli stessi poveri. La
malattia viene offerta come cura: più crescita economica, in modo da
risolvere gli stessi problemi di povertà e di declino ecologico a cui
essa stessa ha dato inizio...Il secondo mito è l’assunto per cui se tu
consumi ciò che produci, non stai veramente producendo, almeno non
economicamente parlando. Il cibo che mangio e non vendo
non contribuisce al PIL e
perciò non contribuisce ad andare verso la crescita.
Queste
esistenze sostenibili, che l’
Occidente percepisce come povertà, non denotano necessariamente una
bassa qualità della vita.”
Las
Gaviotas: un
esempio di iniziativa sociale ed economica innovativa e
decentrata, un modo di vivere e pensare.
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Nel
1992 il centro di ricerca
ambientale colombiano di Paolo Lunari ha piantato
8000 ettari
di pino Caribbean, originario dal Venezuela, in una savana a due giorni di
viaggio da Bogotà. Il suolo della savana, reso acido, pH 4, dalle piogge
era stato dichiarato improduttivo dagli esperti. Attraverso l’uso
innovativo del fungo mycorrizal, coltivato insieme ai pini è stata
possibile la rinascita di una foresta tropicale. La simbiosi tra il fungo
e l’albero non solo ha permesso all’albero di sopravvivere a
condizioni estreme, ma appena i piccoli pini hanno fatto ombra e il suolo
è diventato meno acido è nata una nuova foresta, un nuovo ecosistema
naturale con numerose specie di piante e animali.
Las
Gaviotas è un esempio di domande audaci e risposte inaspettate.
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Un
murales
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Nel
2005, poco meno di 10 anni dopo la forestazione ha dato come risultato un
10% di precipitazioni in più. Il suolo arricchito ha filtrato abbondante
acqua potabile, la resina dei pini ha fornito materia prima per vernici e
carta, alberi di palme hanno fornito la materia prima per il biodiesel,
tutto questo ha favorito lo sviluppo industriale della regione..
Lunari
riscrivendo le regole di una scienza della foresta ha permesso la
creazione di una comunità di circa 200 persone che si automantiene.
La
comunità Las Gaviotas è partita da un problema, dalla soluzione di un
problema con un approccio sistemico, ha affrontato un problema per volta
ma l’insieme delle soluzioni ha messo in atto un processo autopoietico
inarrestabile.
Gli
abitanti hanno costruito un ospedale autosufficiente con 16 posti letto,
hanno inventato
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Una cucina solare ad alta pressione
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Bruciatori a metano
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Pannelli
solari che forniscono acqua calda
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Una parabolica solare per asciugare il grano
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Tetti che si raffreddano da soli
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Corridoi raffreddati dal vento
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Efficienti e durevoli mulini a vento
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Una bicicletta speciale per il Llanos
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Un macinino per la manioca a pedale (10 ore di
lavoro fatto in 1 ora)
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Una micro centrale idroelettrica che genera l'elettricità
con una caduta di acqua da un metro di altezza.
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